Donne migranti, il filo rosso che lega le loro storie riguarda la solitudine del percorso, dalla speranza della partenza alla difficoltà di inserimento e integrazione in nome della vita futura. Abbandonate a se stesse, intrappolate alle porte dell’Europa e dell’America, o in fuga dai Paesi asiatici, le donne migranti sono vittime impotenti di tante violenze, molte sono promotrici di giustizia sociale, dei diritti delle donne e dei bambini.
Donne in fuga
«Non sapevo dove andavo. Capivo che non sarei mai più tornata. Che mia madre non mi avrebbe mai trovata». Aveva quattro figli, non gliene resta nessuno. Brigitte arriva dal Congo alla stazione Termini un giorno di fine gennaio. Addosso ha dei vestiti leggeri, ha freddo, fame, non sa nemmeno bene in che Paese si trova. È fuggita precipitosamente dal Congo, dopo mesi di stupro, di stenti e torture in carcere, sola, senza soldi, documenti o indirizzi, viene scaricata come un pacco ingombrante.
La stazione di Roma diventa il suo dormitorio, la spazzatura la sua cena. Eppure è stata un’infermiera, madre di quattro figli che ora non sa nemmeno se sono ancora vivi. Quando è ormai totalmente alla deriva le si avvicina un uomo, le rivolge la pa-
rola, le scrive sul tovagliolo un indirizzo, Via degli Astalli 14/a, dove troverà un pasto, calore umano e tutto l’aiuto che le serve. Di fatto è un nuovo inizio, è l’inizio di una nuova odissea.
Emigrare per molte donne è l’unica speranza per migliorare la propria vita. Spesso, però, l’emigrazione diventa un percorso duro: anni di lavoro minorile, di carcere per motivi politici, di abusi e di silenzi, di corruzione e di sopraffazione, di diseguaglianza e di violenza.
Le donne migranti vivono la realtà della clandestinità, delle difficoltà legate al viaggio, al lavoro, alla casa, alla lontananza dagli affetti, alle tensioni dovute all’impatto con un contesto socio-culturale diverso.
Molte sono costrette a collocarsi nella posizione lavorativa stabilita da un ordine sociale ed economico che assegna alle straniere lavori di pulizia o di cura, non importa quanto questi possano essere lontani dalle reali competenze professionali. Sono costrette a mettere da parte competenze lavorative, saperi, titoli di studio per riuscire ad avere il necessario per sopravvivere.
Ogni migrante non è nato povero, ignorante, solo o ai margini, è una persona con la sua storia, la sua famiglia, la sua cultura, la sua dignità. Conoscerli è necessario. Solo così si costruisce il futuro.
«Guardando negli occhi queste donne, specchiandoci nelle loro storie, non potremo non riconoscere l’energia disperata che ci accomuna tutti, quando la vita ci ha travolti e tentiamo di rimetterci in piedi».
Donne e impegno sociale
Privazioni, perdite, sconforto, ma c’è anche la forza, la determinazione attraverso le quali si vincono le sfide più dure. La donna migrante sa di possedere una forza interiore, che si chiama “resilienza”, solo così riesce a superare la propria condizione di fragilità, mettendo in campo tutta la sua forza e l’orgoglio per integrarsi in tutti gli ambiti, sia lavorativi che relazionali.
«Voglio essere io a dire come mi chiamo», rivendica Geneviéve P., una migrante camerunense. La prima lotta è la lingua, un modo per riconoscersi e prendere possesso di se stessi. Di qui il desiderio impellente di scrivere per dare un ordine e un senso alle esperienze vissute.
«Abbiamo qualcosa dentro il cuore, però non sappiamo come dirlo, come spiegare a voi per farvi capire quello che sentiamo».
La letteratura dà loro voce. Una voce che racconta di fughe dalla guerra e dalla miseria, di sacrifici e stenti, ma anche di quotidianità e conquiste. Di maternità, vissuta lontano dagli affetti e dalle tradizioni, d’identità perdute, di aspettative e delusioni, di coraggio e riscatto sociale. Ricordano la vita, gli usi e costumi del Paese d’origine, parlano della loro realtà quotidiana, con le fatiche e le speranze di donne e di madri.
In questo cambiamento esistenziale, dopo aver sperimentato una duplice forma di esclusione, per il loro essere donne e straniere nello stesso tempo, le donne migranti vedono nella scrittura lo strumento più adatto a testimoniare la consapevolezza di un’identità diversa e più dignitosa. Tante le storie e varie, ciò che le accomuna è il percorso di liberazione interiore e di presa di coscienza della propria diversità e ricchezza. La narrazione nasce dal bisogno di non perdersi, di salvare anche ciò che si è lasciato dietro e diventa un’opportunità per uscire dal silenzio e per parlare, come soggetto femminile, rivelandosi apertamente e rielaborando il trauma della migrazione. «Oggi forse non ammazzo nessuno». È il titolo del racconto autobiografico di Randa Ghazy, giovane musulmana. Con un linguaggio fresco e giovanile, affronta in modo diretto e ironico, i pregiudizi della disinformazione, qualunquismo e ignoranza, con cui gli immigrati devono fare i conti. Jasmine, la protagonista, è di origine egiziana (come l’autrice), è una ragazza di vent’anni, in cerca di identità, insofferente sia alle imposizioni della propria cultura d’origine, che ai luoghi comuni sugli arabi, tipici dei suoi coetanei occidentali. Ha a cuore la sua religione e i valori della sua famiglia, ma continua a cercare una mediazione con lo stile di vita della sua quotidianità di studentessa occidentale. I diffusi pregiudizi sull’Islam non le rendono la vita semplice.
Il racconto esistenziale attraverso la scrittura letteraria restituisce alle donne migranti la dignità e il coraggio per cercare, in autonomia, il senso del proprio essere nel mondo e il significato di un’identità di donna e immigrata.
Si abbattono muri, ma il flusso delle donne migranti non si arresta! È necessario pensare a nuove politiche, a interventi di integrazione, a una pastorale migrante che le accompagni lungo tutto il percorso di piena integrazione e realizzazione sociale.
Gladys Basagoitia Dazza, peruviana, poetessa bilingue. Nella poesia “Altra lingua”, scritta appunto in altra lingua, l’italiano, esprime la disponibilità a superare ostacoli e frontiere.
«Sei giunto al paese dei tuoi sogni, / sorridi / non bastano i sorrisi / si chiudono le anime e le porte / accettando la sfida / fai tua l’estranea melodia / attraversi frontiere / conservi la canzone di tua madre / per cantarla ai tuoi figli».
Gabriella Imperatore, FMA
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