Lo ricorda Papa Francesco nell’Esortazione Amoris Laetitia nella quale, rilanciando l’attualità della sfida nel quadro di “un’educazione all’amore e alla reciproca donazione”, esorta a formulare una proposta pedagogica che tenga conto della bontà del pudore e che non si concentri solo su istruzioni tecniche.
Educazione sessuale vuol dire insegnare il rispetto del corpo e la stima di sé, del prossimo e della differenza. Nella configurazione del proprio modo di essere, maschio o femmina, non confluiscono solo fattori biologici o genetici – spiega il Santo Padre – ma anche molteplici elementi relativi al temperamento, alla storia personale, alla cultura. No quindi ad ogni forma di riduzionismo rigido, a stereotipi culturali che rischiano di impedire lo sviluppo delle capacità di ciascuno: va contrastata l’idea che un uomo che si faccia carico di compiti domestici tradizionalmente femminili sia meno maschio di altri e viceversa per le donne. “La categoria di ‘genere’ non è negativa né positiva: semplicemente ci dice qualcosa di come l’uomo e la donna sono fatti”, spiega la prof.ssa Flavia Marcacci, docente di Filosofia all’Università Lateranense, tra le ideatrici del progetto per le scuole del Forum delle Famiglie “RispettiAmoci”. “Se oggi assistiamo al fiorire degli studi di genere, è urgente assumere una posizione. Ovviamente come cattolici diremo cose che a molti non piaceranno, ma ne potremo dire altre che invece piaceranno molto. Occorre avere coraggio. Nessun pensiero può far paura a chi vuole ispirarsi al Vangelo”.
Prof.ssa Marcacci la sfida di un’educazione sessuale positiva lanciata già dal Vaticano II, oggi è stata accolta?
“Solo parzialmente. Dapprima perché ancora fatichiamo a distinguere tra l’educazione all’affettività e l’educazione alla sessualità. La prima si può rivolgere a ogni fascia di età e aiuta a riconoscere emozioni e sentimenti, parte significativa dell’individualità personale. Scoprendo l’affettività si scopre il ruolo del corpo, dove emozioni e sentimenti sono percepiti, agiti e comunicati. Da qui il passo all’educazione alla sessualità è breve, delicato e ricco di significati: la sessualità non è qualcosa da “fare”, ma qualcosa per “essere”. In maniera diversa, ovviamente, e soprattutto senza anticipare in alcun modo i bisogni, si può educare alla sessualità a ogni età, in modo che essa venga vissuta serenamente come una dimensione naturale della persona umana, che è sempre sessuata. Bambini e ragazzi oggi vengono frastornati da immagini e messaggi sulla sessualità distorti e banali: sarebbe importante raggiungerli se non prima, almeno contemporaneamente alla televisione e a Internet, per fornire loro strumenti critici per distinguere contenuti buoni da altri meno buoni.
Oggi perché questa sfida è tanto urgente?
“Perché il mondo è profondamente cambiato. Si dice che non stiamo vivendo un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca. Gli scenari che potranno vivere i nostri figli saranno molto diversi dai nostri. Vogliamo che ricordino i nostri insegnamenti come vecchie favole o costruire un’alleanza generazionale nella quale si possano riconoscere? Analogamente i giovani: studiano, viaggiano, hanno accesso a molteplici informazioni. Come dimostrare loro che anche noi adulti sappiamo capire i loro dubbi, perché sono anche i nostri dubbi, e tentiamo delle risposte ragionevoli? Prendiamo la questione femminile. Viviamo in una società nella quale l’immagine della donna è sottoposta a tensioni culturali opposte. È essenziale dare una corretta immagine della femminilità, nell’ottica di una reciprocità il cui fine è la piena collaborazione tra i sessi”.
Il progetto “RispettiAmoci” di cui lei è ideatrice sta raccogliendo molti consensi nelle scuole di vario ordine e grado in cui è stato introdotto. In che consiste?
“Ci siamo posti obiettivi specifici nella formazione di ogni fascia di età, nella convinzione che attorno a essi ruoti la formazione di ogni persona umana, al di là di appartenenze culturali e religiose e pertanto spendibili pienamente nell’ambito laico delle scuole pubbliche. Tra questi obiettivi vi sono la conoscenza di se stessi in relazione al corpo, alla dimensione affettiva e sessuata, al contesto culturale. Cerchiamo di far comprendere gli effetti degli stereotipi nella percezione di sé e degli altri, e di mostrare il valore e la ricchezza di ogni differenza. Una certa attenzione viene data anche alla vita negli ambienti digitali e al rapporto con il cibo. A seconda delle fasce di età cambiano le modalità di interazione tra l’equipe di docenti del progetto e il gruppo classe, come anche cambiano alcuni temi. Possiamo così far fronte alle esigenze reali delle nostre scuole, laddove si cerca di contrastare ogni tipo di bullismo e di discriminazione. Soprattutto, però, si cerca di fornire strumenti per la costruzione di relazioni interpersonali positive, facilitando anche il lavoro didattico nel gruppo classe”.
Il nome del progetto gioca sui termini “rispetto” e “amore” perché?
Vorremmo insegnare ai ragazzi cosa davvero significhi rispettare se stessi e gli altri. Ovviamente questo costa un po’ di fatica: rispettare significa anche mettersi in discussione ed essere aperti all’ascolto. Bambini e ragazzi sono particolarmente sensibili alla dimensione amicale, e generalmente capiscono l’importanza di stare insieme bene. Per quanto riguarda il concetto dell’amore, fa da sfondo ai temi trattati: affettività e sessualità hanno un legame diretto con la capacità di amare e farsi amare. Amore e rispetto non possono essere disgiunti, ed è importante capire come farli crescere insieme per costruire relazioni soddisfacenti e mature.
“RispettiAmoci” vuole proporsi anche come risposta alle sfide della violenza di genere e del bullismo omofobico. In cosa differisce dai progetti ispirati alla cosiddetta ideologia gender?
“Se al centro del progetto vi è l’idea del rispetto, il primo passo da fare è prendere atto che ci può essere tra i propri coetanei chi vive un diverso orientamento sessuale. Questo non deve essere un motivo per non stringere sani rapporti amicali, né tantomeno per discriminare o deridere. Noi lavoriamo affinché tutte le differenze possano essere armonizzate. Certamente senza impedire ai ragazzi che vengano fuori i loro dubbi e problemi. Non diamo formule prestabilite, perché sono gli studenti a dover trovare la modalità con cui costruire il canale del rispetto. Né tantomeno diamo risposte in merito a come deve o non deve essere una persona: sarebbe molto scorretto e se si volessero affrontare domande più costitutive, servirebbe un lavoro di tipo scientifico e filosofico ben più profondo di quello che si può fare in un numero ridotto di ore. Il nostro progetto insiste sul valore di tutte le differenze, a partire da quella tra uomo e donna che consideriamo fondamentale”.
Come è stato accolto il vostro progetto nelle scuole?
“Per il momento siamo soddisfatti, in molte scuole ci hanno richiamato e abbiamo già una lista di attesa. I nostri docenti hanno constatato che i problemi dei ragazzi sono spesso molto diversi da quelli che l’informazione vuol farci credere. Occorre prossimità, occorre ascoltarli. Servono esperti ben formati che sappiamo cogliere le loro domande. C’è tanta ricchezza in loro, in ogni fascia di età. Hanno solo bisogno di interlocutori onesti e preparati, che vogliano il loro bene”.
Dal discorso del Papa ai Vescovi polacchi (Cracovia, 27/07/2016)
In Europa, in America, in America Latina, in Africa, in alcuni Paesi dell’Asia, ci sono vere colonizzazioni ideologiche. E una di queste – lo dico chiaramente con “nome e cognome” – è il gender! Oggi ai bambini a scuola si insegna che il sesso ognuno lo può scegliere. E perché insegnano questo? Perché i libri sono quelli delle persone e delle istituzioni che ti danno i soldi. Sono le colonizzazioni ideologiche, sostenute anche da Paesi molto influenti. Questo è terribile. Parlando con Papa Benedetto, mi diceva: «Santità, questa è l’epoca del peccato contro Dio Creatore!». Dio ha creato l’uomo e la donna e noi stiamo facendo il contrario.
Paolo Ondarza
paolo.ondarza@gmail.com