La pace, un processo in continua costruzione… a partire da noi stessi

In tempi difficili e complessi dove la conflittualità implicita nei rapporti globali tra popoli e nazioni sembra bloccare i processi di integrazione internazionale, tutti invocano la pace… ma cosa è la pace? Quale è l’idea di pace che fa da sfondo alla mentalità comune, che motiva le nostre scelte, il nostro impegno personale e comunitario, che poi si irradia nell’ambiente e nella società? Quale cultura della pace circola nelle nostre comunità a livello ecclesiale e sociale?

Quali parole per dire la “pace”?

Per sostenere la vita quotidiana con le sue sfide e le sue difficoltà, per far fronte alla crisi che ha investito le democrazie e ai crescenti populismi o neo-sovranismi, la pace non può essere solo un ideale utopico e quindi irraggiungibile. La pace ha bisogno di entrare in profondità nella mente e nel cuore delle persone e in tutti gli ambiti della vita, per generare trasformazioni, prima di tutto interiori, capaci di promuovere relazioni interpersonali e intercomunitarie costruttive.
Perché la pace possa divenire cultura che pervade mentalità, comportamenti e stili di vita, trasformandosi in prassi, in azione consolidata e diffusa, si esige riflessione, confronto, condivisione a diversi livelli così da essere riferimento costante dell’agire educativo, sociale e politico. È importante allora trovare le parole ‘giuste’ per dire la pace, per comunicarne il suo valore insostituibile nella convivenza umana ma anche nella crescita delle nuove generazioni. Sono, infatti, le parole che ci permettono di entrare in relazione con gli altri, con chi si pone delle domande di senso, interrogandosi sulla vita e sulle vicende umane che ne scandiscono il ritmo e ne costituiscono la trama, con chi soffre per malattia o povertà, violenza o guerra. Sono le parole che consentono alla comunicazione di creare ponti tra le persone e le istituzioni e viceversa, che possono far ridestare molteplici sentimenti o emozioni, energie e motivazioni in coloro che le ascoltano.
Ma non tutte le parole hanno la capacità di risvegliare speranze e desideri di pace, non tutte le parole sono generatrici di comunione, libertà, riconciliazione, perdono, attivando processi di rinascita e di cambiamento, trasformando in opportunità di crescita le angosce, le paure e le conflittualità che le persone vivono soprattutto in situazioni di sofferenza, violenza e oppressione. Occorre però che in esse siano evidenti gli orizzonti di significato, i valori sottostanti. Ciò è possibile se vengono associate al linguaggio del corpo, dalla voce agli sguardi, ai volti e ai gesti, come pure al linguaggio del silenzio, espresso anche attraverso la vicinanza e il rimanere semplicemente accanto alla persona.
Il mondo e soprattutto i giovani hanno bisogno di parole capaci di creare relazioni positive, di cura e di fiducia, che aprano prospettive di futuro, parole colme di attese e di speranze nelle quali credere, parole che fanno del bene, che non feriscono e non discriminano ma al contrario accolgono e includono, empatizzano e comprendono.

La pace si costruisce lentamente

Mons. Tonino Bello, coraggioso profeta della pace, ha una visione dinamica e profonda che interpella, prima che le coscienze, il cuore delle persone. Tra i suoi scritti, ne troviamo uno che è paradigmatico di ogni riflessione sulla pace. L’idea centrale che emerge è che la pace si costruisce lentamente: è un cammino lungo ed esigente nei suoi percorsi formativi ma che vale la pena intraprendere, perché generatore di cambiamento interiore e di conversione spirituale. Si tratta di un itinerario di crescita che parte innanzitutto da noi stessi.
«A dire il vero non siamo molto abituati a legare il termine pace a concetti dinamici. Raramente sentiamo dire: “Quell’uomo si affatica in pace”, “lotta in pace”, “strappa la vita coi denti in pace”. Più consuete, nel nostro linguaggio, sono invece le espressioni: “Sta seduto in pace”, “sta leggendo in pace”, “medita in pace” e “riposa in pace”. Occorre forse una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno. Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo.
La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale “vita pacifica”.
Sì, la pace prima che traguardo, è cammino. E, per giunta, cammino in salita. Vuol dire allora che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi percorsi preferenziali ed i suoi tempi tecnici, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste.
Se è così, occorrono attese pazienti. E sarà beato, perché operatore di pace, non chi pretende di trovarsi all’arrivo senza essere mai partito, ma chi parte».

Le parole per la pace di Tonino Bello indicano una serie di valori e di atteggiamenti interconnessi che si alimentano reciprocamente. La pace è… conquista, impegno, lotta, sofferenza, tenacia, sacrificio, cammino in salita, attesa paziente, beatitudine, traguardo costantemente ricercato e perseguito. In un tempo in cui le tensioni internazionali e le molteplici guerre in corso nel mondo rischiano di vanificare ogni sforzo per costruire la pace, queste parole possono ispirare i passi di un itinerario formativo che parte prima di tutto da noi stessi, per irradiarsi al di fuori di noi nell’ambiente che ci circonda e nella società.
Il vero campo di battaglia si trova innanzitutto dentro di noi. È nell’interiorità la prima guerra che siamo chiamati a vincere. Come diceva Madeleine Delbrêl, «impara l’arte della guerra con te e l’arte della pace con gli altri», la pace passa attraverso la lotta interiore, l’esercizio costante per orientare le energie vitali più profonde verso la pace, cioè verso relazioni costruttive, facendo la guerra con se stessi così da neutralizzare le spinte di pulsioni e pressioni, interne ed esterne, che possono ostacolarne la realizzazione.

La pace, un cammino che parte dall’interiorità

Il grido di speranza e di pace lanciato da Tonino Bello in una delle ore più buie della storia in cui nubi minacciose hanno gettato ombre di paura e incertezza sul cammino dell’umanità a livello planetario, continua ad accompagnare la nostra complessa e inquieta contemporaneità. Non è possibile arrendersi o adagiarsi in un pacifismo disincarnato e/o nostalgico, ma neppure irrigidirsi in lotte sterili ispirate a false ideologie che fanno solo rumore provocando spaccature, contrapposizioni e pericolose divisioni.
Ancora una volta siamo sollecitati a metterci in ascolto del grido di pace che si alza dall’umanità, a sostenere e accompagnare i passi di chi scende in campo e si espone in prima fila, di chi si pone accanto a coloro che soffrono per mancanza di libertà e di rispetto dei diritti umani, in primis quello di sopravvivenza, di cittadinanza, di avere una famiglia, una casa, un lavoro, un’educazione e una formazione professionale.
Del resto, la proposta che Gesù rivolge agli operatori di pace porta in sé una carica rivoluzionaria che permette non solo di captare le urgenze e le istanze della pace, ma attraverso la testimonianza del darsi agli altri senza misura, l’esperienza del perdono che sconfigge in radice il germe dell’odio e dell’individualismo che è dentro di noi, esprime l’orientamento del cuore, gli atteggiamenti profondi che guidano ogni scelta e decisione.
La pace presuppone un cammino di liberazione dall’odio, dal narcisismo onnipotente, dal bisogno di potere e di possesso. È un esercizio interiore che richiede un coinvolgimento pieno di se stessi mediante processi di consapevolezza. Ognuno è chiamato personalmente ad assumere un atteggiamento nei confronti della realtà, anche se sembra assurda e senza significato. È un appello al cambiamento che è sempre interiore. Progredire nel cammino della vita “secondo lo Spirito” comporta un positivo rapporto con se stessi che si costruisce lentamente attraverso il silenzio e l’esercizio di consapevolezza per un pieno coinvolgimento nel lavoro spirituale. La crescita spirituale infatti ha bisogno del supporto di un’interiorità che si elabora più per grazia che per conquista personale.
Nel corso della vita viviamo esperienze fondamentali che ci fanno conoscere cosa e come noi siamo ma anche cosa e come sono gli altri. Tali esperienze sono spesso vissute nella cornice di sentimenti o atteggiamenti, quali tristezza, sofferenza, solitudine o desiderio di relazioni e di comunità, tenerezza, speranza, ma anche paura, incertezza, invidia, gelosia, inquietudine e angoscia, dispersione o lacerazione interiore e armonia. Sono esperienze radicate nel cuore della vita che ci avvicinano alle sorgenti profonde della condizione umana che comporta allo stesso tempo fragilità, vulnerabilità, crisi ma anche forza, resistenza, solidità e radicalità di certezze interiori fondate sui valori e sui significati profondi dell’esistenza.
Scendere nella profondità del cuore, allora, rende possibile fare contatto e confrontarsi con gli eterni problemi dell’essere umano e ci rende più solidali, ritrovando in essi un nuovo significato, se nella fede li accogliamo come un mistero di morte e di rinascita.

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