L’immagine suggestiva della sedia è una buona metafora o un esempio di questa esperienza che noi, come umanità, dobbiamo gli uni agli altri in questi tempi: darsi il tempo di ascoltare. E cosa c’è di meglio di questo segno per farci capire quanto sia importante e necessario l’ascolto: ha un grande valore fin dal primo momento dell’incontro, e la sua potenza aumenta in modo esponenziale.
In questa esperienza è in gioco il meraviglioso dono della misericordia e ci avviciniamo, senza volerlo, ai sentimenti di Dio stesso verso la creatura umana.
Con questa premessa, vorrei soffermarmi sul potere curativo, misericordioso dell’ascolto, che riesce a trasformare dal profondo ogni persona. Se guardiamo i telegiornali, se apriamo uno qualsiasi dei social network, se usciamo per strada o saliamo sull’autobus, troviamo situazioni che sono in aumento nel nostro mondo di oggi.
L’intolleranza, la violenza, il dolore, l’angoscia, le tante lamentele e le umilianti prese in giro ci sembrano normali, ci adattiamo come società ad essi e le ripetiamo in ogni nostro ambiente: meno dialogo e più urla, gesti e sguardi minacciosi prendono il sopravvento sui dettagli calorosi, ci sforziamo di conformarci e di primeggiare e dimentichiamo di dare spazio all’altro, usiamo il potere per sottomettere, per abusare e trascuriamo l’orizzonte. Tutto ruota intorno al vantaggio, all’essere i primi, all’avere più ricchezza. Questa somma di ferite, brutalizza la persona, altera il suo senso della realtà e le fa vedere l’altro come un nemico, come un rivale da sconfiggere.
E così va in frantumi il bene inestimabile della PACE. E quanto abbiamo bisogno di riconquistarla!
Con così tanti fronti di guerra nel mondo, con così tanti leader che preferiscono affermare il proprio potere con la forza, con conflitti di vicinato, morti e lacrime, il mondo, la società è malata per mancanza di PACE. Dal micro al macro, da chi ho accanto sul sedile dell’autobus al Paese vicino con cui ci confrontiamo per espropriare una parte del suo territorio, stando in questa realtà ci rendiamo conto che occorre trovare la cura per questa malattia.
Papa Francesco nell’Enciclica “Fratelli Tutti” dedica un intero capitolo, il settimo, a insistere sulla Pace e propone la via dell’incontro come il modo migliore per raggiungerla: essere artigiani di pace unendo vari valori: giustizia, misericordia, verità, compassione, dialogo; sempre insieme: Il percorso verso la pace non richiede di omogeneizzare la società, ma sicuramente ci permette di lavorare insieme. Può unire molti nel perseguire ricerche congiunte in cui tutti traggono profitto. Di fronte a un determinato obiettivo condiviso, si potranno offrire diverse proposte tecniche, varie esperienze, e lavorare per il bene comune. Occorre cercare di identificare bene i problemi che una società attraversa per accettare che esistano diversi modi di guardare le difficoltà e di risolverle. Il cammino verso una migliore convivenza chiede sempre di riconoscere la possibilità che l’altro apporti una prospettiva legittima – almeno in parte –, qualcosa che si possa rivalutare, anche quando possa essersi sbagliato o aver agito male. Infatti, «l’altro non va mai rinchiuso in ciò che ha potuto dire o fare, ma va considerato per la promessa che porta in sé», promessa che lascia sempre uno spiraglio di speranza. (FT 228)
Quindi, prendersi la pausa necessaria, sedersi faccia a faccia per dialogare e ascoltare, mettendo l’orecchio al cuore di sé e dell’altro, senza cercare il successo personale e senza pensare di conoscere già tutte le risposte. Riuscite a immaginare se in tutti i nostri confini personali, sociali, nazionali, ci sforzassimo di creare questi spazi di incontro?
Una lunga fila di “sedie” che invitano all’ascolto, all’empatia, alla guarigione, al perdono, a cercare soluzioni da diversi punti di vista, a conoscersi meglio e a lasciarsi abbracciare.
Dunque, parlare di “cultura dell’incontro” significa che come popolo ci appassiona il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti. (FT 216)
Qualcuno dirà che è facile a dirsi e più difficile a farsi, che sembra molto semplice e proprio perché è così semplice può risultare molto insignificante, ma in fondo non sono forse le nostre inespresse intolleranze quotidiane che ci fanno violenza? Non sono forse le divergenze nel pensiero e nella comprensione della realtà ciò che ci divide? Non è la negazione della fragilità e dei limiti che ci chiude e ci impedisce di vedere?
Incoraggiamo il cambiamento! Cerchiamo una sedia quotidiana che ci insegni l’arte dell’ascolto, costruiamo insieme come umanità una nuova storia dove la PACE diventi realtà.
Quello che conta è avviare processi di incontro, processi che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze. Armiamo i nostri figli con le armi del dialogo! Insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro! (FT 217)