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Ristabilire la comunione…

Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli! (FT 8b)

Immaginiamo un grande puzzle, dove ogni pezzo ha la sua forma e il suo posto. Se ogni pezzo è al “suo posto”, si formerà una bella immagine, ricca di significato e armonia. Partendo da questo puzzle possiamo parlare dell’io e del noi, che è più di una semplice somma di parti. Questa considerazione ci aiuterà ad approfondire il nostro senso di comunità.
Se affermiamo che ogni essere umano, un “io”, è chiamato alla comunione, con se stesso, con Dio e con gli altri, da questa prospettiva antropologica l’altro diventa “altro-io”. San Tommaso d’Aquino ha definito la persona come un soggetto sussistente e relazionale, cioè qualcosa che sussiste nella sua distinzione dall’altro, ma allo stesso tempo è in relazione ad esso.
È impossibile per una persona essere “se stessa” se non è in relazione con altri “io”, è l’autoconsapevolezza della propria identità di essere umano in relazione che la definisce come tale.
Un bel gioco di parole, come il puzzle che stiamo componendo! Partiamo dall’esperienza della generatività che il Capitolo generale ci invita a vivere, non “come una realtà individuale, ma come dimensione comunitaria, anzi, istituzionale, indicando con essa il coinvolgimento di tutti i membri” (Discorso della Superiora generale delle FMA Madre Yvonne Reungoat, Atti CG XXIV, pag. 68).
Continuiamo con queste parole che Papa Francesco esprime nell’Esortazione Apostolica Postsinodale Cara Amazzonia, parlando del cammino sinodale: In breve, si potrebbe dire che la sinodalità ci aiuta a passare dall’io al noi.
Ma un “noi” che integra tutti gli “io”, al singolare, a partire da un processo inclusivo. È un “noi” in cui ogni “io” è un attore. Sinodalità significa quindi riscoprire la priorità del “noi” ecclesiale al servizio del bene comune, prendendo coscienza che “la vita è un cammino comunitario in cui i compiti e le responsabilità sono divisi e condivisi per il bene comune”.

Il noi, in conclusione, è il gene comunitario che abita il nostro essere e ci impegna nella ricerca, nel desiderio e nella costruzione di uno spazio comune, abitabile e inclusivo, fraterno e libero, spirituale e trasformativo. La comunità è il disegno finale del puzzle? Che bello dire di sì! Ma quanto è difficile metterlo insieme… cercare di collegare i pezzi, di non forzarli, di creare armonia.
Come scoprire questa comunione nelle nostre realtà di oggi? Quali contributi la convalidano? Vediamone alcuni:
Istituito dalle Nazioni Unite per promuovere il dialogo e la coesistenza tra le religioni, il Documento sulla Fratellanza Umana viene firmato, il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi da Papa Francesco e del Grande Imam Al-Azhar, con il sostegno del Presidente del Congresso Ebraico Mondiale. Questo documento condanna il terrorismo e la violenza di matrice religiosa ed è un appello universale a promuovere il dialogo, la comprensione reciproca e la collaborazione per porre fine alle guerre.

L’America Latina si distingue come esempio di dialogo religioso e convivenza fraterna, la differenza di fedi ci arricchisce e non intacca la nostra identità particolare, afferma Claudio Epelman, commissario del Congresso ebraico mondiale per il dialogo interreligioso e direttore esecutivo del Congresso ebraico latinoamericano. E continua: le religioni possono diffondere il messaggio che l’accettazione dell’altro è la chiave per la convivenza e contribuire a quella che Papa Francesco chiama la cura della casa comune, del nostro pianeta, dove c’è un’enorme diversità di religioni e gruppi che, sotto lo stesso sistema di valori, lottano contro il cambiamento climatico e per la conservazione della nostra casa.
La mobilità umana è un’altra parte di questo puzzle, a livello internazionale o regionale. Poiché la mobilità è un fenomeno costitutivo della società contemporanea, ciò che accade ai migranti non è una loro esclusiva, ma un riflesso della società nel suo complesso. Un gran numero di persone che migrano lo fanno in condizioni di estrema vulnerabilità.
Le Nazioni Unite, attraverso il Quadro di cooperazione per lo sviluppo sostenibile 2022-2026, restano impegnate a collaborare con le autorità nazionali di ogni Paese per stabilire rotte migratorie sicure, regolamentate e ordinate e promuovere la flessibilità e l’applicazione delle misure di regolarizzazione della migrazione. António Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite, afferma: “Insieme, e solo insieme, possiamo salvaguardare la nostra umanità e garantire i diritti e la dignità di tutti”.
L’articolo 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta delle persone, in particolare donne e bambini (2000), definisce la tratta di persone come “il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione […] o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento”. In tutto il mondo esistono numerose reti che lottano contro questo flagello. In Colombia troviamo MISIÓN Tamar, una rete intercongregazionale e laica impegnata nella prevenzione della tratta di esseri umani dalla prospettiva dei Diritti Umani e con un approccio evangelico. Difende il diritto a una vita dignitosa e rifiuta ogni trattamento crudele, inumano e degradante.

La CEAMA, Conferenza Ecclesiale dell’Amazzonia, approvata nei suoi statuti nell’ottobre 2022, è un esempio di ricerca di nuove vie per l’evangelizzazione di una porzione del “Popolo di Dio” dimenticata e poco conosciuta a livello mondiale, come le popolazioni indigene che compongono il bioma amazzonico. Tra l’8 e l’11 agosto 2023 si è tenuta a Manaus (Brasile) la Prima Conferenza CEAMA. Mons. Eugenio Coter, partecipante dalla Bolivia, riassume le esperienze di questa Conferenza: “ci sentiamo interpellati dal cambiamento climatico e dal maltrattamento di questo territorio amazzonico, senza renderci conto che non stanno danneggiando i polmoni del mondo, ma il cuore del mondo, perché dall’Amazzonia l’acqua viene pompata dalla terra al cielo, e diventa pioggia che attraversa l’emisfero; perché dall’Amazzonia, quando distruggiamo la foresta, restituiamo all’aria l’inquinamento che era stato ripulito, generando sofferenza a tutti coloro che la abitano”.

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