Combattere la paura per raggiungere la pace

“Non abbiate paura!” Questa espressione profondamente cristiana compare 366 volte nella Bibbia ed è estremamente rilevante per tutte le nazioni, religioni e culture. Quando si analizzano le radici degli atteggiamenti di individui e gruppi che praticano e diffondono la violenza, studi recenti mostrano che la paura è un elemento fondamentale. È stata una strategia ampiamente utilizzata nei discorsi nazisti e fascisti e continua a essere usata oggi da politici, gruppi religiosi ed estremisti, con risultati molto negativi per le società.

L’appello alla paura è una risorsa utilizzata per generare insicurezza, creando la sensazione che ci sia una minaccia latente proveniente dall’altro, dal diverso che deve essere eliminato, combattuto o allontanato. È il caso dei discorsi e delle politiche anti-immigrati, che si stanno rafforzando in molti Paesi, ma che vengono utilizzati anche in relazione a gruppi di minoranza etnica, religiosa o sociale, etichettati come “minacce” interne. Oltre a provocare paura, questi discorsi sono permeati di odio, idee razziste e teorie cospirative, potenziate “dall’aumento del nazionalismo populista e della xenofobia nei discorsi delle campagne elettorali e dalla legittimazione percepita della retorica dell’odio quando i politici, i leader religiosi e i media tradizionali producono e fanno circolare la disinformazione”

La paura potenzia la rabbia e scatena atteggiamenti violenti che possono includere disprezzo, indifferenza o atteggiamenti pratici di aggressione verso l’altro, visto come una minaccia per un certo gruppo. In queste situazioni, c’è una sorta di giustificazione per l’aggressione compiuta in nome della difesa dell’integrità dell’individuo, della famiglia o di uno specifico segmento sociale. 

La prospettiva cristiana mostra proprio il contrario: l’atteggiamento del “non avere paura” è quello che ci permette di tendere la mano a chi è diverso, di accogliere chi la pensa diversamente da “me”, in un atteggiamento di empatia, gentilezza e gratuità. Alcune immagini bibliche rafforzano questa posizione, si pensi, ad esempio, alla parabola del “buon samaritano” (Lc 10,25-37). Il samaritano non ha paura dell’uomo sul ciglio della strada, non teme di rendersi impuro toccando l’uomo ferito. Quando Gesù incontra la donna adultera (Gv 8,2-11), non la vede come una “minaccia” ai “buoni costumi” del popolo ebraico, ma la vede come una persona, degna di misericordia. È la paura che paralizza una persona e le impedisce di moltiplicare i talenti che ha ricevuto (Mt 25,25). 

Il cammino verso la pace implica il superamento della paura, come ci ricorda Papa Francesco nell’Evangeli Gaudium: “Il Vangelo ci invita sempre ad abbracciare il rischio di incontrare il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, con le sue sofferenze e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa rimanendo fianco a fianco” (EG, 88). È un percorso che ci permette di “creare comunione”, di tessere spazi di “comunicazione”, di dialogo e di incontro. 

È molto preoccupante quando i discorsi fanno appello a “paure ancestrali” e assumono nuove forme attraverso i media digitali, venendo assorbiti come bandiere ideologiche che sostengono pratiche di segregazione sociale. Nell’Enciclica Fratelli Tutti, Papa Francesco avverte che oggi: “si creano nuove barriere di autodifesa, per cui non esiste più il mondo, ma solo il ‘mio’ mondo; e molti cessano di essere considerati esseri umani con una dignità inalienabile e diventano solo ‘gli altri’” (n. 27). È una cultura di muri, divisioni ed esclusioni, all’interno della quale non è possibile intravedere nuovi orizzonti di fraternità e comunione.

Papa Francesco ha lanciato innumerevoli appelli a favore della pace e insiste perché vengano abbattuti i muri della divisione e della chiusura. Il suo appello è attuale e necessario: “Dobbiamo aprire il cuore ai nostri compagni di strada senza paura o sospetto, e guardare innanzitutto a ciò che cerchiamo: la pace di fronte all’unico Dio”. L’apertura all’altro ha qualcosa di artigianale, la pace è fatta a mano. Gesù ci ha detto: “Beati gli operatori di pace” (Mt 5,9). In questo sforzo, anche tra di noi, si compie l’antica profezia: “Essi trasformeranno le loro spade in vomeri” (Is 2,4)” (EG 244). 

In questo contesto, è urgente che gli ambienti educativi salesiani siano capaci di riflettere sui grandi problemi del mondo di oggi, in modo che ci sia un dialogo critico sui discorsi che circolano nei media e nei diversi strati sociali. Un’educazione che prenda posizione contro la cultura della paura, i discorsi di odio e le diverse forme di violenza è essenziale per creare una cultura di pace e di convivenza fraterna. 

I conflitti esistono e fanno parte delle dinamiche di ogni società, ma questo non significa che la loro risoluzione debba passare attraverso la violenza. Per affrontare questi discorsi che permeano le diverse realtà, è necessario un processo di decostruzione di queste idee, cercando le radici di queste posizioni che diffondono sentimenti di paura, esclusione, rabbia e odio, così come i meccanismi di comunicazione e manipolazione che vengono utilizzati come strategia sistematica da alcuni gruppi e movimenti. Si tratta della necessità di un’alfabetizzazione ai media e all’informazione che parta da una prospettiva umanistica e sia in linea con i valori etici e morali necessari per costruire una società democratica, egualitaria e fraterna.

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