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Il tema della pace e della sua costruzione andrebbe approfondito non solo a partire dalle figure storiche che ne hanno vissuto e interpretato le istanze civili e politiche, come alcuni “profeti di speranza” della società contemporanea: Gandhi, Giorgio La Pira, Lorenzo Milani, Tonino Bello, Ernesto Balducci, ecc. Indubbiamente il loro pensiero e la loro testimonianza costituiscono ancora oggi una bussola per strade di pace.

Nel faticoso percorso per costruire la pace in un contesto mondiale di crisi della democrazia, di crescente brutalità del potere, di violenza individuale e collettiva ormai sfociata in una guerra che rischia di annientare l’umanità, è quanto mai urgente impegnarsi nella ricerca di una pace attiva e creativa, trovando insieme un modo diverso di impostare diplomazia e negoziati, per intraprendere percorsi di dialogo volti a ripristinare relazioni internazionali pacifiche e sostenibili. Ciò diventa possibile se si promuovono cambiamenti profondi nelle persone, nelle comunità e nelle istituzioni che tocchino atteggiamenti, credenze e valori, orientamenti emotivi, specie quelli che sono alla base dei pregiudizi, visioni identitarie e memorie collettive. 

In tempi difficili e complessi dove la conflittualità implicita nei rapporti globali tra popoli e nazioni sembra bloccare i processi di integrazione internazionale, tutti invocano la pace… ma cosa è la pace? Quale è l’idea di pace che fa da sfondo alla mentalità comune, che motiva le nostre scelte, il nostro impegno personale e comunitario, che poi si irradia nell’ambiente e nella società? Quale cultura della pace circola nelle nostre comunità a livello ecclesiale e sociale?

Cosa è la sinodalità se non il camminare insieme del popolo di Dio? È questo l’orizzonte che il Papa vede per la Chiesa la quale non può essere che sinodale. È questo il cammino che Dio si aspetta da lei nell’attuale e difficile transizione epocale. La sinodalità è “figlia della comunione” che costituisce la vocazione fondamentale della Chiesa. Per vocazione «siamo chiamati a essere custodi gli uni degli altri, a costruire legami di concordia e di condivisione, a curare le ferite del creato perché non venga distrutta la sua bellezza. Insomma a diventare un’unica famiglia nella meravigliosa casa comune del creato, nell’armonica varietà dei suoi elementi» (Messaggio per la 59° Giornata Mondiale delle Vocazioni).
Mai come ora la chiamata alla comunione è divenuta una tra le aspirazioni e le inquietudini di ogni uomo e donna, che però incontra notevoli resistenze al cambiamento.

«Non c’è futuro per chi non si preoccupa del bene comune»: così recita uno dei principi centrali dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. E Papa Francesco di fronte all’attuale crisi in cui versa la nostra casa comune, lancia alla Chiesa e al mondo la sfida dell’ecologia integrale e della conversione ecologica come impegno concreto per salvare e custodire la terra.

Nel contesto di una ecologia integrale che sollecita nuovi modelli di sviluppo e di sostenibilità è interessante riflettere sul ruolo dell’autorità e, in particolare, su quale sia il modello di autorità più adeguato perché risponda alle istanze emergenti della contemporaneità e alle interpellanze della Chiesa auspicate da Papa Francesco.

«Credevamo di essere onnipotenti e sbagliavamo. Credevamo di aver capito tutto e non avevamo capito niente. Gli anni della pandemia hanno costituito un grande reset, per tante certezze e tante convinzioni, e il risultato è un trauma collettivo di cui oggi viviamo le conseguenze: una situazione di gravissimo contrasto sociale, patologie psicologiche diffuse in forme acute soprattutto tra i giovani, un’incertezza generale sul futuro».



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Da Mihi Animas Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice | Reg. Tribunale di Roma n.190/2016

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